Dieci anni dalla sua prima apparizione sul palco di Amici, sette dalla morte di Lucio Dalla, tre dall’ultima uscita di un suo brano: Pierdavide Carone torna, oggi, a scrivere e a cantare. Con i Dear Jack e con un brano, Caramelle, che ha fatto tanto parlare di sé nonostante l’esclusione dal Festival di Sanremo. Racconta, nell’intervista, come è nato il testo, quanto sia stato ed è importante il cantautore bolognese per lui e quali sono le sue ‘affinità di genere’. Parla poi del suo legame con Nigiotti, del suo essere ‘un pò autistico’ e del 2019 che lo aspetta. Non si sbilancia, infine, sulle questioni calcistiche: la Roma arriverà in Champions?
Sono passati dieci anni dall’inizio della tua carriera e festeggi quest’anniversario con una canzone che, nonostante sia stata esclusa da Sanremo, ha ottenuto consensi da parte della critica, dei tuoi colleghi e del pubblico. Com’è nato questo brano?
Questo brano è nato abbastanza da solo, nel senso che di solito io, quando scrivo delle canzoni, per quanto ci possa essere l’ispirazione, ho un canovaccio di partenza, cioè so dove questa canzone mi porterà, più o meno. In questo caso no, avevo soltanto il tema di un bambino di 10 anni che mi risuonava nella testa sotto forma di melodia. All’inizio la canzone sembra anche spensierata, perché lui racconta della sua famiglia, della scuola, degli amichetti con cui va a giocare. Man mano che la canzone, a livello di scrittura, progrediva, mi rendevo conto che, sia musicalmente ma soprattutto testualmente, questo tema si trasformava in una confessione inquietante e nel ritornello io, cosi come l’ascoltatore quando sente il brano per la prima volta scopre che il bambino sta confessando un abuso subito, ho scoperto questa cosa così, quando l’ho scritta. È stato anche un po’ agghiacciante per me, perché dopo devi decidere se andare avanti con la canzone oppure rinunciare. Io ho deciso di andare avanti per sentirmi forse un po’ più forte nella divulgazione. Ho deciso di affrontare questo percorso non da solo, ma l’ho condiviso con i Dear Jack, con cui già stavamo lavorando su altre cose. Quando è arrivata Caramelle ha avuto la priorità su tutto e sono stato contento che i ragazzi abbiano deciso di affrontare con me questo viaggio bello, difficile, a volte doloroso perché incontri anche persone che realmente hanno vissuto quel tipo di storie, purtroppo. Ti devi relazionare anche con la realtà. É una canzone che è andata oltre se stessa e oltre noi, non mi era mai capitato prima.
Quindi il tema della pedofilia è stato casuale?
Sì, non è stata una scelta, è arrivato, è stato così.
Avevi già dei progetti con i Dear Jack e ora è partito anche un vostro tour insieme. Nel futuro continuerai a lavorare con loro?
Proprio perché la cosa è nata un po’ in sordina ma è diventata poi eclatante, oserei dire, un caso, abbiamo dovuto organizzare un tour in corsa. É bello, perché è in un periodo in cui non si fa altro che parlare di strategie, e questa cosa è tutta molto estemporanea. Io, di mio, stavo preparando un disco che accantono per il momento, perché mi va di godermi questo viaggio con i Dear Jack. Stiamo lavorando con loro anche su altre canzoni, quindi sicuramente Caramelle avrà un seguito. È chiaro che, ad un certo punto, ricomincerò a dedicarmi alle mie cose, cosi come i Dear Jack alle loro. Però intanto, questo 2019, ce lo godiamo insieme.

Nel 2010, uscito da Amici, i tuoi testi erano alla ricerca costante della verità, ma forse più sarcastici, ed utilizzavano un linguaggio più velato rispetto a quello immediato e duro di ‘Naní’ del 2012 e di ‘Caramelle’ di quest’anno. Questo cambiamento è dovuto meramente a questioni anagrafiche o nasce anche da esigenze di far arrivare quello che dici ad altri target di pubblico?
Diciamo che ci sono un po’ entrambe le cose. Sicuramente crescendo si arriva ad una consapevolezza forse un po’ piú amara della vita. All’inizio La ballata dell’ospedale e Jenny erano canzoni con delle tematiche importanti ma sicuramente piú dissacranti. A queste due cose che dicevi ci aggiungerei sicuramente l’incontro con Lucio (Dalla, ndb). Lui è stato un po’ lo spartiacque in questo, nel senso che mi ha reso un artista piú consapevole. Da lì indietro non si torna, quindi è ovvio che Nanì è stata la prima canzone dove ho continuato ad affrontare sì temi importanti, ma l’ho fatto con una serietà che prima non mostravo, un po’ per paura di affrontare tematiche con carattere e magari anche sì, per l’età. Probabilmente non dico che non l’avrei fatto se non avessi incontrato Lucio, ma magari non lo avrei fatto cosi presto.
Quanto ha cambiato quindi, nel tuo modo di essere cantautore, l’incontro con Lucio Dalla?
Mi ha cambiato tanto, proprio perché essere legittimato, oltre che umanamente, artisticamente da un monumento della musica d’autore come lui è ovvio che ti allarga le spalle, ti fa sentire più presente a te stesso. Quindi tutto quel disco lì, rispetto ai due precedenti, ha un carattere, un valore per me importante, diverso. Quel valore lì e la sua conseguente morte tragica ed improvvisa, hanno frenato un po’ tutto questo percorso, proprio perché mi hanno un attimo spaesato, è stato tutto veloce. Da che i primi due dischi erano sicuramente più spensierati, un disco cosi importante gestirlo insieme a lui, che è una leggenda, e poi doverlo gestire da solo, insomma, è stato tutto troppo veloce. Nel momento in cui ho deciso di ripartire, ho deciso di riaggrapparmi a quel momento. E quindi, nella scelta e nel modo di affrontare Caramelle, spesso ho evocato dentro di me quello che lui magari avrebbe potuto pensare di questa canzone, di come affrontarla. Perché forse Caramelle, ancora più di Naní, aveva bisogno di carattere e coraggio: quando si parla di abusi sui minori è sempre un terreno molto scivoloso. Quell’incontro lì sicuramente ha determinato da parte mia delle conseguenze diverse a livello artistico.
Ti faccio tornare indietro nel tempo. Nel 2011, io ero ad un tuo incontro tra fan e ti feci chiedere se apprezzassi Marco Masini come cantante, e tu citasti Il morbo di beautiful, canzone molto ironica e sconosciuta ai più ma che si addiceva al tuo modo di scrivere di allora. Adesso chi apprezzi e a chi ti senti più vicino nel modo di esprimerti, nonostante questa consapevolezza che ovviamente determina sempre di piú l’affermazione di Pierdavide Carone anche nel tuo stesso modo di scrivere?
In questo momento mi sento molto caratterizzato da me stesso o da, se proprio vogliamo fare un po’ di antropologia artistica, oltre a Dalla, i vari De Gregori, Venditti, Rino Gaetano, Fossati. Questi sono i miei riferimenti. Giusto per darci una collocazione temporale, perché sennò poi sembriamo fuori dallo spazio e dal tempo, oggi, se dovessi indicare più che degli artisti a cui mi rifaccio magari delle affinità di genere, sicuramente nomino Cristicchi, un certo Caparezza, Moro, Ermal (Metà, ndb), per quanto sia arrivato piú tardi rispetto a quelli che nominavo prima. Quello è il mio habitat. Brunori Sas, se vogliamo continuare a fare dei nomi. Quello è il terreno in cui mi muovo, per quanto poi magari tutti quelli che ho nominato anche fra di loro si diversificano. Anche io mi diversifico da loro, però se devo dare geografia a quello che faccio sicuramente è quello.
Nel tuo libro scritto durante Amici “I sogni fanno rima”, parlavi della tua amicizia con Nigiotti. Hai ancora contatti con lui?
Sí, tanto, ci siamo sentiti spesso, io ho tifato per lui al Festival, ha anche speso belle parole per Caramelle. Quando vado a Livorno vado da lui, quando viene a Milano ci si vede. Insomma è una bella amicizia. In questo momento, fortunatamente per entrambi, siamo tanto impegnati ed è difficile incrociarsi, peró il valore di un rapporto si misura anche dalla distanza e nella distanza, con lui questa cosa sicuramente c’è.
La canzone di cui parlavi nel libro, quella che avevi scritto proprio tornando da un viaggio a Livorno con lui, che non vi hanno mai fatto cantare ad Amici, che fine ha fatto?
Ah, guarda, non so neanche piú se c’è, non so neanche se me la ricordo. Siamo andati cosi tanto oltre. A volte le canzoni poi vanno a finire negli oggetti smarriti, quindi qualcuno poi magari la recupera.
In precedenza hai citato Cristicchi, che ha fatto una canzone in tema e io sono una terapista specializzata nel trattamento dell’autismo: mi ricordo che, quando qualcuno ti chiedeva una foto, tu non lo abbracciavi mai, perché dicevi, ironicamente, e lo hai fatto anche nel tuo libro, di essere ‘un po’ autistico’. Adesso abbracci i fan, quando ti chiedono le foto?
Diciamo che ho imparato ad abbracciare e non è una cosa poi così tanto ironica, io c’ho lavorato proprio tanto, perché probabilmente non sono stato molto abituato all’epidermide quando ero piccolo. Sai, sono cose poi che succedono, non tutte le famiglie sono uguali. Io ho seguito per un certo periodo un corso di Rebirthing, che è la disciplina meravigliosa che mi ha aperto un sacco di cose, mi ha fatto ricentrare e mi ha fatto diventare sereno in un periodo in cui ero tutt’altro che sereno. È sempre difficile mantenere un certo equilibrio nella propria vita, però il Rebirthing è stato un buono strumento per chiudere con certe cose, per aprirmi a delle altre. Anche attraverso il Rebirthing ho imparato ad abbracciare e ad essere presente epidermicamente. Perché io, in realtà, sono uno molto affettuoso, però il mio affetto lo mostro attraverso i gesti quotidiani, il poter aiutare le persone a cui tengo. Magari uno non si accorge di queste cose e, siccome mi ha visto sempre negli anni restio ad un certo tipo di contatto, può sembrare sia quasi anaffettivo. In realtà, forse, è proprio un‘esplosione di affetto maggiore di cui ho bisogno e che sono disposto a dare.
Potresti scriverla una canzone sull’autismo, sarebbe meraviglioso.
Io collaboro dal 2012 con un’associazione di Faenza che si occupa di autismo, sono molto amico del Presidente, Cesare Missiroli, che ha un figlio autistico. Cerco di spendermi quando ci sono delle manifestazioni pubbliche, perché magari serve la mia presenza a far riempire qualche teatro e quindi a far guadagnare qualche soldino alle associazioni, ben venga. Ma queste sono cose che tengo nel privato, non è che uno si mette a sbandierare tutti i giorni quello che fa. L’autismo è un mondo a cui mi sono avvicinato da tempo e a cui ho deciso di dare la mia amicizia.
Infine, da abbonata in curva, devo chiederti: arriveremo in Champions (si parla dell’ASRoma, ndb)?
La vedo male. Non lo so, io non credo sia colpa di Di Francesco, credo sia un problema atletico. Non credo che la squadra abbia perso la testa, magari con la Fiorentina forse un attimo, ma non mi sembra che non sia presente a se stessa. Magari Ranieri rinvigorisce un po’. È difficile più che altro perché le due milanesi non si fermano e i posti sono 4, gli altri 2 sono già presi. Ci sono altri 3 posti per 3/4 squadre, perché poi non lo so, forse c’è anche la Lazio. Sara un derby nel derby, Milano e Roma si contendono 4 posti di Champions. Vedremo, vedremo.
Ti ringrazio tantissimo per la disponibilità e sono contenta di averti ritrovato come cantante. Spero che tu possa continuare cosi. Ci era mancata la tua musica.
E a me era mancata la musica. Ora che sono tornato spero di non andarmene più.