Marco Masini riprende i live nel 2022 ed inizia con la prima tappa del nuovo anno: Roma
Maso saluta il pubblico, finge di andarsene. Ma tanto si sa, dopo c’è il bis. La sicurezza del teatro si posiziona davanti al palco, perché lo immagina cosa sta per succedere. Basta uno sguardo, sappiamo cosa vuol dire. Le prime note saranno il segnale. Quando parte Bella stronza dobbiamo scattare. Tutti insieme. Come sempre. Sotto al palco.
Non è quello che è successo ieri. Non è quello che è successo all’Arena di Verona a fine settembre. E’ quello che avremmo voluto tutti, forse anche Maso. E’ ciò che più manca, di questi concerti. L’aver perso la libertà. Di cantare a squarciagola, ché le mascherine fanno un po’ l’effetto museruola. Di correre sotto al palco tutti insieme, ché il Covid non ce lo permette e dobbiamo stare distanziati. Di lasciarci andare. Di respirare a pieni polmoni qualcosa che ci ha sempre fatto bene.
Vaffanculo. E allora sì che ti dimentichi tutto. Ti alzi, le braccia sono tutte su. Niente oppressioni, niente catene. Con le mani al cielo gridiamo al mondo che ora basta, stiamo male, non è giusto! Ci scordiamo quello che ci limita e ci riprendiamo un po’ di quello che ci ha sempre reso felici: la libertà.
Cantare in un teatro sold-out da due anni ma mezzo vuoto causa, ancora e ancora, epidemia, non deve essere stato né facile né piacevole. Masini lo dice apertamente, ma continua a fare quello che gli riesce meglio: musica.
Lo fa nel modo migliore in cui possa farlo: al pianoforte, in piedi, in ginocchio, saltellando sul palco, recitando i suoi monologhi, prendendo in giro i musicisti, con la mano in tasca, sorridente, distaccato, coinvolto.
E’ Masini, nel bene e nel male.
Nel bene della sua immensa capacità artistica. Nel suo modo di focalizzare tutti gli occhi e le emozioni della sala quando, seduto al pianoforte, da solo, canta Caro babbo con la voce strozzata. O quando, perfetto, interpreta Signor Tenente di Faletti, suo amico. Nel suo modo di urlare con noi, durante Vaffanculo, che non ne può più. Nel suo essere convinto, durante 10 anni, che ogni nuovo concerto c’innamorerà. Nel ricordo al suo secondo padre, Giancarlo Bigazzi, con Lasciaminonmilasciare: che brano. Nei suoi siparietti con i musicisti, visti e rivisti, che strappano sempre un sorriso. Nel suo modo di sorridere quando si lascia andare ad intermezzi musicali sul palco, con gli altri, liberi di giocare con le note e con la loro passione.
Nel male della sua scaletta, sempre la stessa, da anni, a parte qualche rara eccezione (Disperato la ascolterei sempre, Io ti volevo un po’ meno, per non parlare di T’innamorerai…). Sono però le canzoni che il pubblico si aspetta e quindi, forse, dovremo sentire sempre anche noi. Nei suoi monologhi interminabili, che sappiamo a memoria. Nel distacco che a volte lo fa sembrare veramente seduto sopra al trono arrogante di un ridicolo re. Eppure noi siamo qua. Di città in città.
Masini è questo. L’uomo volante. Il suo inno. Perché, quando l’ha cantata, il suo pubblico più fedele ha volato con lui. Come a quel Sanremo che gli ha ridato la carriera. Una carriera meritata, sudata, non valorizzata e che, ancora ad oggi, per quello visto sul palco, non trova la giusta importanza.
Grazie Maso, ci vediamo a Firenze!
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