In attesa della seconda data al Circo Massimo di questa sera, domenica 12/06/2022, ecco la recensione di quello che, ieri, è successo al primo live nella suggestiva location romana di Vasco.
Sarebbe dovuto essere il 19/06/2020, questo concerto. Poi, si sa. Covid, Covid ed ancora Covid. Tutto si è fermato e i biglietti per il primo storico live al Circo Massimo del Komandante sono rimasti a lungo sugli scaffali di migliaia di persone, a prender polvere.
E’ stato l’11/06/2022, il grande giorno. Roma si è preparata con (un pò di) anticipo all’evento: strade chiuse, traffico deviato, Circo Massimo isolato. 70000 persone la cui felicità è messa in risalto da 1500 corpi illuminanti. 750000 watt di potenza audio.
Dalla mattina folle di persone ad assediare il luogo del concerto. Ai lati del palco, sulle collinette; sotto palco, nel parterre. In fondo. Tutti lì per celebrare un artista che, ancora e forse per sempre, riesce a far vivere tutti. Pienamente.
Il concerto parte puntualissimo alle 21.15, con XI Comandamento. Vasco, dopo , saluta tutti con un urlo condiviso e condivisibile da chiunque: ‘finalmente!’. E poi via, per 50 minuti di canto libero. La scaletta viaggia tra passato e presente. L’uomo più semplice, Ti prendo e ti porto via, Se ti potessi dire, Senza parole, Amore… aiuto!, Muoviti!, La pioggia alla domenica, Un senso, L’amore, l’amore. Si balla, si canta, ci si libera.
E poi, Interludio. 15 minuti circa di musica e voce offerte dalla band di Vasco.
Beatrice Antolini, che tutti dovrebbero avere sul palco. Passa dalle percussioni al piano alla voce e ai cori con una facilità e una bravura assolutamente incredibili; Vince Pastano, direttore musicale, alla chitarra acustica; Stef Burns, acclamato dal pubblico, alla chitarra; Matt Laug alla batteria; Andrea Torresani al basso, quando non compare (come farà nell’ultima parte del concerto) Claudio Golinelli, detto il Gallo. Alberto Rocchetti alle tastiere e al piano. Andrea Ferrario, Tiziano Bianchi e Roberto Solimando rispettivamente al sax, alla tromba e al trombone. Nel corso del concerto, dapprima in questo prima interludio e in conclusione, dopo Siamo solo noi, c’è spazio per ognuno di loro.
Riprende il concerto con altri 50 minuti di forza pura. Tu ce l’hai con me, C’è chi dice no, Gli spari sopra, Stupendo, Siamo soli, Una canzone d’amore buttata via, Ti taglio la gola, Rewind, Delusa, Eh già, Siamo qui, Sballi ravvicinati del terzo tipo, Toffee.
Entra poi il Gallo, Le ultime cinque canzoni sono un sogno. Sally, Siamo solo noi, Vita spericolata, Canzone, Albachiara. Vasco ci lascia così, alle 23.50. Con i fuochi d’artificio. Ma i botti li ha fatti lui.
Non solo musica, però. Anche un attacco alla guerra: ‘Fuck the war, fanculo la guerra! La guerra è contro i bambini, la guerra è contro le donne, la guerra è contro gli anziani! Fuck the war, fanculo la guerra!’.
Vasco può piacere o meno. Si può condividere il messaggio che manda, il modo di vivere. Può capitare che ci si avvicini a lui e alla sua arte con pregiudizio o con l’idea che, forse, il rocker di Zocca non vale quello che si dice. Ma tutti dovrebbero vedere, almeno una volta nella vita, un concerto del Komandante. Per accorgersi che Vasco è molto più di quello che passa in radio o di quello che si ascolta nei CD.
Perché, al netto di tutto quello detto fino ad ora, Vasco è oggettivamente una voce che rapisce. Sono due occhi che parlano. Un corpo che sa come trasmettere emozioni. Ancora oggi, a 70 anni. Un artista che regge un concerto del genere, davanti a 70000 persone, con l’entusiasmo, la grinta e la passione di un ragazzino. La spontaneità di un ‘folle’. La poesia di un grande autore con una forza interpretativa che vanta pochi eguali.
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